Ok, Super Mario Bros: un giochillo divertente, colorato e piuttosto naif in cui due idraulici, Mario e suo fratello Luigi, si ritrovano nel magico “Regno dei Funghi”. Scopo del “viaggio”, salvare la principessa Peach rapita da Bowser, il malvagio re dei Koopa Troopa. Lei è l’unica in grado di rompere l’incantesimo con cui ha conquistato il regno trasformando tutti gli abitanti, i Toad, in blocchi di ghiaccio. Sì, suona veramente strano.
Teoria del complotto: un po’ come il Ministero dell’Amore che si occupa appunto d’instillare “amore” per il Grande Fratello distruggendo le persone moralmente e psicologicamente attraverso la tortura, così è probabile che a Hollywood esista uno speciale reparto segreto. Un “ministero”, il cui unico compito è analizzare tutto ciò che le persone amano e distruggerlo. In effetti, questo spiegherebbe tante cose.
Questo spiegherebbe, tra l’altro, come si possa credere, fosse anche solo per un istante, che Super Mario Bros film sia basato sul gioco Super Mario Bros.
Ora, Super Mario Bros film vede il buio delle sale nel 1993 e questo, di suo, già è un problema.
Il fatto è che Super Mario Bros, il gioco, arrivò sul mercato nel 1985, e mentre a Hollywood pensavano se farci o no il film erano già usciti Super Mario Bros 2, Super Mario Bros 3, Super Mario Land e Super Mario World. Alé.
Tutto questo avvenne, senza manco contare che nel 1989 Nintendo e Universal avevano preso accordi uscendosene con una delle più grandi operazioni di product placement della storia: Il piccolo grande mago dei videogames. Quasi due ore di pubblicità ininterrotta mascherata da film.
In altre parole e senza andarsene per frasche aprendo una parentesi enorme, erano tempi molto diversi. All’epoca, i videogames erano considerati neanche un passatempo, ma una moda e come tale destinata a esaurirsi. Tradotto ulteriormente, per quanto fosse popolare, la Mario-Mania era passata. Uscirsene con il film di Super Mario nel 1993, significa rischiare proprio di brutto.
Se nel 1993 sei un bambino di sì e no dieci anni, di questo e quello ti sbatte essenzialmente zero. In quel momento ti importa solo una cosa: sta per uscire il film di Super Mario Bros. Cioè, il primo film in assoluto a essere basato su un videogame. Le aspettative sono altissime. Allora vai al cinema, il film comincia e la prima cosa che pensi è porca putt… perdindirindina, ho sbagliato sala.
C’è questa intro animata livello Mamma e Papà hanno un nuovo Bebè, non se ne fanno più niente di te, in cui Pino Locchi, forse convinto di essere stato chiamato a registrare un audio per Super Quark, molto elegantemente spiega che il meteorite che colpì la Terra sessantacinque milioni d’anni fa non fece estinguere i dinosauri.
In realtà il meteorite aprì una specie di squarcio spazio-temporale che mandò tutti i dinosauri in una dimensione parallela e dove i futuri esseri umani si sarebbero poi evoluti poi da loro, non dai mammiferi. Adrenalina pura, insomma. A ogni modo, facciamo un salto avanti di sessantacinque milioni di anni, ma venti prima dei fatti narrati nel film.
In una notte buia e tempestosa, una losca figura incappucciata lascia un cesto sull’uscio di un tetro convento e scappa via con il favore delle tenebre. Nella cesta, raccolta poi dalle monache, c’è un uovo. Un uovo da cui, una volta schiuso, esce fuori un neonato. Proprio le giuste premesse attinenti a qualcosa tipo L’esorcista più che per un film basato su un videogame e indirizzato a un pubblico preadolescenziale.
Finalmente, a quasi un quarto d’ora dall’inizio, arriva quello che tutti stavano aspettando di vedere: Mario e Luigi. I due idraulici italiani più famosi del mondo. Tanto italiani e tanto fratelli che a interpretarli ci sono Bob Hoskins, un inglese, e John Leguizamo, un colombiano, che tra loro non si somigliano manco per sbaglio.
Naturalmente, il film si chiama Super Mario Bros, no? Perciò chissene di Mario e Luigi. Per loro, meno di due minuti a schermo su quindici bastano e avanzano. Meglio concentrarsi su cose e personaggi più importanti, come questa qui, Daisy. Archeologa a capo di uno scavo in cui sono state fatte importanti scoperte, nonché, personaggio che ogni bambino che abbia messo mano ai giochi della serie conosce e ama.
Nella fattispecie, i problemi di Daisy nascono dal contrasto con il potente magnate dell’edilizia Anthony Scapelli. Un proprio per niente stereotipo del mafioso italo-americano. Talmente originale che a interpretarlo è Gianni Russo, l’attore che una quindicina d’anni prima era stato Carlo Rizzi, il cognato di Sonny Corleone ne Il Padrino. Nel frattempo, vengono introdotti altri due personaggi, di quelli amatissimi: Iggy e Spike.
Nell’economia della storia, questi due sono i nipoti scemi di Koopa che, dietro ordine dello zio, vengono nella nostra dimensione per cercare di rapire Daisy. Non conoscendone l’aspetto iniziano a rapire donne a casaccio. La cosa viene sottolineata con alcune sequenze in cui i giornali parlano di un’ondata di donne scomparse, opera probabilmente di un maniaco seriale.
Solo un attimo, giusto per capirci. In venti e passa minuti del film di Super Mario Bros, abbiamo visto: un prologo che pare preso da un documentario scrauso. Appiccicato con lo sputo a un flashback di un film horror ancor più scrauso e micragnoso. Una tipa minacciata dalla mafia e, dulcis in fundo, una lunga serie di donne scomparse, rapite probabilmente da un serial killer. Esattamente quello che ogni bambino si aspettava di vedere in Super Mario Bros film. E il meglio deve ancora arrivare.
Dopo una discussione con Scapelli, Daisy si allontana dagli scavi per fare una telefonata e lì, al telefono pubblico, incontra Mario e Luigi. Quest’ultimo si innamora all’istante della ragazza. Un assurdo scambio di battute dopo (nel frattempo con le inquadrature sui titoli dei giornali si continua a sottolineare che in giro c’è un rapitore misterioso) Daisy accetta giustamente il passaggio gentilmente offerto dai due.
C’è qualcuno che rapisce donne a manetta, perciò, per sentirti più sicura, invece di fartela a piedi accetti di salire sull’anonimo furgoncino bianco di due sconosciuti appena incontrati. L’applauso è d’obbligo.
Visto che i due non si sono rivelati rapitori, Daisy accetta quindi di uscire con Luigi per un appuntamento a quattro con lui, Mario e la sua fidanzata. A questo punto, viene fatta una rivelazione shock: Mario e Luigi non sono fratelli. Daisy racconta di essere un’orfana cresciuta dalle suore e pure Luigi attacca lo stesso pippone, raccontando di come sia stato trovato e cresciuto da Mario, che gli ha fatto da padre, madre e fratello.
Più che di un interessante colpo di scena nato dal principio di voler dare spessore a una storia piuttosto scarna presa da un videogame, in realtà è un’assurdità nata forse dall’esigenza di giustificare la totale mancanza di somiglianza fra Bob Hoskins e John Leguizamo.
Dopo cena, Daisy e Luigi vanno a fare le “romanticherie” e giustamente quale posto migliore per appartarsi se non sottoterra nello scavo condotto da Daisy?
A) Gli uomini di Scapelli, indossando le tute con il nome della società a caratteri cubitali per non farsi riconoscere, allagano lo scavo per sabotarlo. Cosicché, Daisy e Luigi corrono a chiamare Mario. Dopotutto è un idraulico professionista, no?
B) Una volta usciti dal ristorante, Iggy e Spike seguono la fidanzata di Mario e la rapiscono. Dopodiché, seguono Luigi e Daisy e dopo aver messo fuori gioco lui e Mario, finalmente riescono a rapire la ragazza. Quella giusta.
Mario e Luigi si lanciano all’inseguimento di Iggy e Spike, finendo contro una parete di roccia. In sostanza, altro non è che la delirante versione cinematografica dei Tubi Saltamondo. Sembra più una roba uscita da Hellraiser anziché dal gioco, dove Mario e Luigi saltavano allegramente nei tuboni verdi.
Come Nintendo e tutti i giochi ci hanno insegnato, Luigi è quello coraggioso che si butta nel pericolo tuffandosi per primo nel portale. Mario, dopo aver titubato bellamente mostrando la sua goffaggine, si decide finalmente a seguire il “fratello”.
Come per magia, una volta attraversato il portale i due si trovano sul set del fratello scemo di Blade Runner. Il fatto che questo mondo alternativo sia “malvagio”, poi, lo si capisce da tutte quelle cattive, cattivissime insegne al neon che pubblicizzano cose immorali. Come i tatuaggi, per esempio.
Qui, nel distopico mondo, a regnare incontrastato è Koopa, che a parte non chiamarsi Bowser, non è una specie di drago che sputa palle di fuoco. Si tratta di un bizzarro ibrido fra Donald Trump e il Dr. Male. In realtà, questo è solo Dennis Hopper che stava provando a suicidarsi artisticamente, buttando nel cesso anni di riconoscimenti avuti da film come Easy Rider e Apocalypse Now.
Nel frattempo Mario e Luigi, che stanno ancora cercando di capire la situazione, si incontrano per purissimo caso con Toad: musicista, artista di strada indomito e sovversivo, con i suoi riff turbolenti quanto le filastrocche di Tonio Cartonio tenta di ribellarsi al “governo” di Koopa. Cosicché, arriva la pattuglia-fetish della polizia-fetish che arresta tutti.
Mario e Luigi vengono portati nella stazione di polizia-fetish e qui finalmente la verità, quello che tutti avevano la curiosità di sapere: il cognome di Mario.
– Sergente: Okay. Qual è il tuo nome?
– Luigi: No. Luigi Mario.
– Sergente: Okay, allora, quanti Mario ci sono fra voi due?
– Luigi: Ce ne sono tre. Lui è Mario Mario e io Luigi Mario.
Non sembra una cosa scritta da un bambino di sei anni?
Il punto è che ,in questo caso, gli autori avevano praticamente carta bianca. Avrebbero potuto fare veramente di tutto, l’unico limite era rappresentato dalla fantasia. Avrebbero potuto chiamarli, tanto per dire, Mario e Luigi Wrench (chiave inglese). Oppure, Mario e Luigi Plumber (idraulico) magari. Invece… invece niente, Mario Mario. La svogliatezza più assoluta.
Senza farla più lunga del necessario, alla fine viene fuori che il pataccone che Daisy porta sempre al collo è un pezzo del meteorite che sessantacinque milioni di anni prima colpì la Terra, dando vita alle due dimensioni parallele. Lo scopo di Koopa è impossessarsene: una volta ricongiunto il pezzo mancante al meteorite potrà far tornare le due dimensioni a essere una sola.
In questo modo, Koopa conquisterebbe la “Terra dei Mammiferi”, ricca di risorse da sfruttare a differenza del suo mondo, arido e sterile deserto. Inoltre, fa pure sfoggio del suo letale esercito di Goomba: esseri creati grazie a una speciale macchina di “de-evoluzione” inventata da lui. Nonché colpo di grazia degli sceneggiatori che con questo, hanno veramente cercato di fare le cose quanto più alla cazzomannaggia possibile.
Cerchiamo di capirci: cosa significa adattamento? Vedendo Super Mario Bros, a sorprendere non è tanto il suo tirar via, cioè di roba messa su tanto per sfruttare il nome di un franchise famoso. Semmai, la cosa sorprendente è che questo è il risultato ottenuto non da uno. Non da due e non da tre. Bensì, da sette persone diverse. Sette.
Alla fine della fiera, quelli che hanno messo mano al film, fra le ennemila opzioni disponibili cos’hanno scelto di fare? Di fare schifo, ecco cosa. Il punto non è riducile a una semplice questione di incongruenza con il materiale originale. Al contrario, il punto è l’incredibile sommarietà con cui sono state fatte le cose.
Praticamente, su un’ora e quaranta circa di film, per più di un’ora Mario è quello vestito di verde mentre Luigi di rosso, invece del contrario. Questa non è un dettaglio di poco conto su cui uno può glissare. Non è l’accessorio la cui mancanza di particolari non fa nessuna differenza nell’economia della situazione.
Perché stiamo parlando di un qualcosa di talmente semplice, quanto fondamentale, nel riconoscimento dei characters che non si può lisciare in così malo modo. Così come non si può sorvolare sull’intera forma mentis su cui si basa il film. Un film risultato dello “sforzo” di ben sette persone.
Cioè, da un lato, Parker Bennett, Terry Runte e Ed Solomon che si sono occupati della sceneggiatura. Dall’altro, due coppie di registi. I primi due, Roland Joffé e Dean Semler, alla fine non sono stati accreditati, però, a un certo punto furono messi da parte e subentrarono Annabel Jankel e Rocky Morton. Marito e moglie che in un’intervista Hoskins definì “una fottuta coppia di arroganti idioti”.
Al di là di tutto, il problema più grave di Super Mario Bros film è proprio il suo essere frammentario. Un prodotto nato dalla pura e semplice indifferenza realizzato da chi ha più ambizione che talento. Perciò non c’è da stupirsi che lo script, a un certo punto, veniva fuori alla cazzomannaggia giorno per giorno direttamente sul set.
Non c’è da stupirsi se Bob Hoskins, in seguito, affermò che l’intero periodo di lavoro fu “un incubo infernale”. Non c’è da stupirsi se Leguizamo, nella sua autobiografia, affermò che lui e Hoskins sul set erano il più delle volte ubriachi marci. Perché quello era l’unico modo per tirare avanti giorno dopo giorno, tra una scena e l’altra.
Tuttavia, la cosa più difficile da credere è che secondo la produzione, la decisione giusta, la cosa in assoluto migliore da fare era prendere il setting naif, brillante e ultra-colorato di Mario e trasformarlo in un film sci-fi simil-noir sulla falsariga di Blade Runner… ovvero il punto di riferimento per chiunque non riuscisse a uscirsene con qualche soluzione creativa per conto proprio.
Super Mario Bros film si distingue proprio perché, su carta, avrebbe dovuto essere qualcosa di allegro e divertente indirizzato prevalentemente ai ragazzini, ma che per chissà quale assurdo motivo si è cercato di trasformarlo in un’avventura sci-fi per adulti, buttando tutto in cagnara.
Un qualcosa di talmente assurdo, bizzarro e sconclusionato da far addirittura passare in secondo piano che sia un pessimo adattamento che non ha nulla a che vedere con il materiale su cui si basa.
Ebbene, detto questo anche per stavolta è tutto.
Stay Tuned, ma soprattutto Stay Retro. (Da Il sotterraneo del Retronauta).
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