Chi arriva all’asilo col pannolino non viene iscritto. Ma che succede con i bimbi disabili? Ecco i doveri dei collaboratori scolastici secondo la Cassazione.
Chi rispolvera la laurea, chi tira in ballo il contratto nazionale. Il fatto è che nella scuola dell’infanzia cresce il malessere tra insegnanti e collaboratori scolastici (e, di rimbalzo, anche tra i genitori) quando qualcuno pretende che siano loro a cambiare il pannolino ai bambini. Parliamo dai bimbi dai 3 ai 6 anni, perché da quelli più piccini che frequentano l’asilo nido non si può, ovviamente, pretendere totale autonomia nel gestire i loro bisogni fisiologici. In questo caso, infatti, spetta all’educatrice (o educatore) cambiare e pulire il bambino, così come lavarlo dopo un’attività o dopo la pappa. Solo se l’educatrice non riesce per concreti problemi logistici (ad esempio se è da sola e più di un bambino ha bisogno) può intervenire l’ausiliaria.
Nel caso della scuola dell’infanzia, però, le cose cambiano. La maggior parte degli ex asili accettano le iscrizioni solo se i bambini sono autonomi per andare in bagno, cioè sono – come si suol dire in gergo – spannolati. Alcune strutture, addirittura, rinviano l’ingresso del bambino fino al momento in cui il piccolo non ha più bisogno del pannolino. Altre, invece, compatibilmente con le proprie risorse, aiutano i genitori in questo processo cambiando il pannolino ai loro bimbi per un breve periodo di tempo. Ma per una questione di buon senso, non certo perché ci sia una legge che obbliga maestre, educatori o personale ausiliario a farlo.
L’obbligo c’è, invece, per quanto riguarda i bambini disabili che frequentano la scuola dell’infanzia. E’ la Corte di Cassazione a stabilire che un collaboratore scolastico non può rifiutarsi di cambiare un pannolino ad un bimbo che presenta determinati problemi [1]. Con la sentenza in commento, la Sesta sezione penale della Suprema Corte ha confermato il pronunciamento della Corte d’Appello di Napoli che, ribaltando la sentenza assolutoria del Tribunale di Avellino, condannava alcune collaboratrici scolastiche colpevoli di non aver voluto cambiare il pannolino ad una bambina con disabilità complessa. Il reato contestato è quello di rifiuto d’atti d’ufficio. Che cosa significa? Significa, innanzitutto, che non hanno rispettato il contratto nazionale di lavoro nel passaggio in cui si legge che, tra le mansioni ordinarie dei collaboratori scolastici, rientra quello «dell’assistenza materiale nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene degli alunni con disabilità» [2]. Ma significa anche – e questo è il vero aspetto innovativo della sentenza – che i collaboratori scolastici, nell’esercizio delle loro funzioni di assistenza materiale ad alunni con disabilità, sono incaricati di un pubblico servizio, pur non essendo dei pubblici ufficiali. Ecco perché la Cassazione ritiene che il rifiuto di tale assistenza (che comprende anche il cambio del pannolino) equivale al rifiuto di atti d’ufficio.
Per completezza, a proposito della sentenza della Suprema Corte, bisogna aggiungere che la condanna penale inflitta dalla Corte d’Appello era caduta in prescrizione (la vicenda risale al 2009), ma la Cassazione ha mantenuto la condanna civile destinata al risarcimento dei danni: i genitori della bambina disabile, infatti, sono riusciti a dimostrare in tutti i gradi di giudizio che le escoriazioni presentate dalla bambina erano dovute alla carente assistenza igienica consistente nel mancato cambio del pannolino.
Al di là del caso specifico, il parere di fondo dei collaboratori scolastici è diametralmente opposto. Secondo loro (ma anche secondo qualche sindacato autonomo di categoria), cambiare il pannolino non rientra nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale che impone il contratto nazionale. Anzi, aggiungono: trattandosi di un’attività delicata, i collaboratori scolastici devono essere opportunamente formati prima di assumere questo incarico dal dirigente scolastico. I più ostinati sostengono, addirittura, che un corso di aggiornamento non basta ma che, per cambiare un pannolino ad un bambino disabile, sia necessaria una formazione professionale socio-sanitaria.
Resta il fatto che per la Cassazione l’obbligo di cambiare il pannolino ai bimbi con disabilità è obbligatorio. Soprattutto da parte di chi i corsi di aggiornamento li ha già fatti e, proprio in funzione di questo, si è visto riconoscere un aumento di categoria e di stipendio.
Sent. n. sez. 269 UP – 19/2/2016 R. G. N. 31569/15
REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SESTA SEZIONE PENALE
Composta da Giorgio Fidelbo Presidente Stefano Mogini Angelo Capozzi Emanuele Di Salvo Gaetano De Amicis
1) (omissis) nata a (omissis) 2) (omissis) nata a (omissis) 3) (omissis) nata a (omissis) avverso la sentenza del 29/10/2014 emessa dalla Corte d’appello di Napoli; visti gli atti, la sentenza impugnata e i ricorsi; udita la relazione del presidente Giorgio Fidelbo; udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale Maria Francesca Loy, che ha concluso chiedendo il rigetto dei ricorsi; udito per le parti civili l’avvocato (omissis), che ha chiesto l’inammissibilità dei ricorsi con la conferma delle statuizioni civili; uditi per le imputate gli avvocati (omissis) e (omissis), che hanno insistito per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.
1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d’appello di Napoli, in riforma della sentenza assolutoria emessa in data 28 aprile 2009 dal Tribunale di Avellino, appellata dal pubblico ministero e dalla parte civile, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (omissis), (omissis) e (omissis), per essere i reati loro ascritti estinti per intervenuta prescrizione, condannandole al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separata sede. Le tre imputate, tutte collaboratrici scolastiche presso l’Istituto Comprensivo (omissis), erano state accusate dei reati di rifiuto di atti ufficio e di lesioni personali, per essersi rifiutate di procedere al cambio di pannolini della minore disabile (omissis), alunna della scuola materna dell’Istituto suindicato, omissione che determinava piccole lesioni ulcerose alla minore nella zona ano-genitale.
2. L’avvocato (omissis), difensore di fiducia di (omissis), ha proposto ricorso per cassazione deducendo tre motivi. Con il primo motivo censura la sentenza per aver sostenuto la colpevolezza dell’imputata per non aver provveduto alla cura della minore in una situazione di necessità ed urgenza, al di là delle mansioni specifiche attribuite al collaboratore scolastico, tesi questa ritenuta fondata su una erronea applicazione delle norme amministrative integrative della legge penale. Si assume che la Corte territoriale ha ritenuto che l’elemento oggettivo del reato sia rappresentato dalla doverosità e indifferibilità dell’atto richiesto alle collaboratrici scolastiche, carattere che emergerebbe dall’art. 47 del CNNL 2002/2005: in particolare, si rileva come anche secondo le norme contrattuali non sussisteva il dovere per l’imputata di far fronte alle esigenze igieniche della bambina disabile, in quanto non era stata offerta alcuna disponibilità al riguardo, non erano stati attribuiti compiti aggiuntivi retribuiti e non vi era stata alcuna formazione in materia (art. 47 e 48 CNNL cit.) e, inoltre, mancava sia uno specifico ordine di servizio sia il conferimento dell’incarico da parte del dirigente scolastico. Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione con riferimento alla condanna relativa al reato di lesioni, sostenendo la carenza di motivazione soprattutto nel superare la sentenza assolutoria di primo grado. Con il terzo motivo chiede la revoca della condanna al risarcimento del danno e la revoca o la riduzione della rifusione delle spese di costituzione.
3. L’avvocato (omissis), nell’interesse di (omissis) e (omissis), ha presentato ricorso per cassazione. Con il primo motivo deduce la violazione di legge e, conseguentemente, del CCNL del Comparto Scuola che disciplina le mansioni del personale ATA (art. 47): la Corte d’appello ha riconosciuto alle collaboratrici scolastiche, con incarico annuale e prive di qualsiasi formazione specialistica, una mansione, quale la cura dell’igiene intima di un bambino disabile, assolutamente diversa dalle mansioni e dalle attività previste dalle aree di appartenenza e rientranti tra le funzioni aggiuntive, attribuibili al solo personale di ruolo all’esito di specifici corsi di formazione. Ne consegue l’insussistenza del reato contestato non essendo tenute le imputate a quella specifica mansione. Con il secondo motivo denuncia l’erronea applicazione dell’art. 328 cod. pen. per aver qualificato le imputate incaricate di un pubblico servizio, laddove tale qualifica non può essere riconosciuta in relazione a mansioni di natura materiale, come quella dei cambio di pannolini. Con il terzo motivo deduce l’errore di fatto ex art. 47 cod. pen. che avrebbe dovuto escludere la punibilità. Con il quarto motivo denuncia il vizio di motivazione sotto specie di travisamento, in quanto si assume che, contrariamente a quanto affermato in sentenza, vi fu l’esecuzione dell’ordine impartito da (omissis), direttore dei Servizi generali amministrativi presso l’istituto (omissis), con il cambio del pannolino effettuato dalla (omissis) (episodio del 25.2.2005). Con il quinto motivo censura la sentenza per aver ritenuto la sussistenza del reato di lesioni personali, mentre semmai andava contestata la diversa ipotesi di cui all’art. 586 cod. pen., punibile a titolo colposo. Con il sesto e settimo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione alle lesioni ritenute conseguenza dell’omissione, nonostante lo stesso medico legale avrebbe espresso una mera probabilità circa la relazione causale tra le lesioni riscontrate e la condotta omissiva. Con gli ultimi due motivi, lamenta la mancata motivazione e la condanna in solido delle tre imputate al pagamento delle spese in favore della costituzione della parte civile, in violazione del principio di proporzionalità fissato dall’art. 97 cod. proc. civ.
1. I ricorsi proposti non sono limitati a censurare la sentenza in ordine agli interessi civili, ma sembrano richiedere una pronuncia assolutoria anche nel merito, nonostante l’avvenuta dichiarazione di estinzione dei reati per prescrizione. Tuttavia, nella specie non ricorrono i presupposti richiesti dall’art. 129 comma 2 cod. proc. pen., dovendo escludersi che dagli atti risulti evidente l’insussistenza del fatto o che le imputate non l’abbiano commesso ovvero una delle altre formule assolutorie prese in considerazione dalla norma citata.
2. Riguardo al reato di cui all’art. 328 cod. pen., contestato alle imputate, si rileva l’infondatezza dei motivi proposti nei ricorsi, in cui si assume che le collaboratrici scolastiche non erano tenute a far fronte alle esigenze igieniche della minore disabile. Sul punto si condividono le argomentazioni svolte nella sentenza di appello in cui si individua la doverosità dell’intervento richiesto alle collaboratrici scolastiche nell’art. 47 del CCNL 2002/2005, che ha risolto una serie di incertezze interpretative sui compiti del personale ausiliario, che aveva dato adito a forti conflitti tra dirigenti scolastici, collaboratori e le famiglie dei ragazzi con disabilità. Infatti, il CCNL del 1999 prevedeva le mansioni di assistenza solo come possibili, quindi non obbligatorie, e il successivo CCNL del 2001 si limitava a stabilire che dovesse essere comunque assicurata l’assistenza personale agli alunni con disabilità. Con l’art. 47 del CCNL dei 2002/2005 oltre a prevedere che i compiti del personale ausiliario sono costituiti “dalle attività e mansioni espressamente previste dall’area di appartenenza” e “da incarichi specifici che (…) comportano l’assunzione di responsabilità, rischio o disagio, necessari per la realizzazione del piano dell’offerta formativa”, si precisa, nella tabella che si riferisce alle competenze dei collaboratori scolastici (tabella A), che questi sono tenuti a “prestare ausilio agli alunni portatori di handicap nell’accesso dalle aree esterne alle strutture scolastiche e all’interno e all’uscita da esse, nonché nell’uso dei servizi igienici e nella cura dell’igiene personale, anche con riferimento alle attività previste dall’art. 47”. Pertanto, non vi è dubbio che, sulla base di un obbligo contrattuale, le imputate fossero tenute a prestare assistenza alla minore per le sue esigenze igieniche. Peraltro, nella specie l’intervento assumeva carattere di urgenza, trattandosi di una situazione di “decadimento dello stato igienico” di una minore portatrice di disabilità. La Corte d’appello ha correttamente evidenziato come la specifica modalità organizzativa attraverso cui l’istituto scolastico avesse deciso di offrire il servizio di assistenza ai portatori di disabilità non poteva certo derogare alle disposizioni normative, soprattutto ricorrendo una situazione di urgenza. Del resto, la sentenza impugnata richiama la testimonianza del dirigente scolastico, (omissis), il quale ha riferito di avere più volte sollecitato le imputate all’espletamento delle funzioni di assistenza ai minori disabili. In conclusione, ribadendo quanto sostenuto dai giudici d’appello, si ritiene che una volta riconosciuta l’esistenza di uno specifico dovere derivante dalla normativa contrattuale, il comportamento omissivo delle imputate, in relazione alle due occasioni cui si riferisce la contestazione, integra il reato di cui all’art. 328, comma 1, cod. pen., anche sotto il profilo soggettivo, essendo emerso che il rifiuto è stato opposto nella consapevolezza che fosse in contrasto con i doveri d’ufficio, dal momento che erano state sollecitate dal dirigente scolastico all’espletamento di tali attività. 2.1. In considerazione di quest’ultima notazione, deve escludersi che possa solo ipotizzarsi la sussistenza del dedotto errore di fatto ex art. 47 cod. pen. (ricorso avv. omissis): infatti, in tema di applicabilità della causa di esclusione della punibilità, il dubbio su una circostanza di fatto che costituisce elemento essenziale della fattispecie criminosa non è di per sè sufficiente ad escludere il dolo in quanto, mentre l’errore determina il convincimento circa l’esistenza di una situazione che non corrisponde alla realtà, chi agisce nel dubbio è invece consapevole di potersi esporre a violare la legge, cosicché il compimento dell’azione comporta l’accettazione del rischio nella causazione dell’evento, concretizzando così una forma di responsabilità a titolo di dolo eventuale (Sez. 3, n. 37837 del 06/05/2014, M.). 2.3. Manifestamente infondato è il motivo con cui si dubita della qualifica soggettiva delle imputate (ricorso avv. omissis). Il collaboratore scolastico, accanto a prestazioni di carattere meramente materiale, che sono la maggioranza, svolge anche mansioni di vigilanza, sorveglianza degli alunni, guardiania e custodia dei locali, nonché assistenza personale agli alunni con disabilità, che non si esauriscono nell’espletamento di un lavoro meramente manuale, ma che, implicando conoscenza e applicazione delle relative normative scolastiche sia pure a livello esecutivo, presentano aspetti collaborativi, complementari e integrativi delle funzioni pubbliche devolute ai capi di istituto e agli insegnanti in materia di sicurezza, igiene, ordine e disciplina all’interno dell’area scolastica. Nei limiti di queste ultime incombenze, compete a tali figure professionali la qualifica di incaricati di un pubblico servizio (Sez. 6, n. 5543 del 07/03/2000, Di Carmino).
3. Per quanto riguarda il motivo con cui si denuncia il travisamento della prova (ricorso avv. omissis) in relazione all’episodio del 25.2.2005, si osserva che la (omissis) ha eseguito la richiesta proveniente dal direttore dei servizi amministrativi dell’istituto scolastico, (omissis), solo in seguito ad una serie di insistenze, essendosi inizialmente ostinatamente rifiutata, condotta che configura il reato contestatole che, come è noto, è un reato istantaneo il cui momento consumativo si realizza con il rifiuto (Sez. 6, n. 12238 del 27/01/2004, Bruno).
4. Infondati sono anche i motivi con cui si contesta la sussistenza del reato di lesioni. I giudici di secondo grado hanno correttamente ritenuto che la mancata sostituzione del pannolino ha determinato le lesioni accertate dalla dottoressa (omissis).
5. Infine, manifestamente infondati sono i motivi con cui si contesta la condanna al risarcimento dei danni in favore della parte civile, nonché al pagamento delle spese del grado. Sul primo punto, si rileva che l’art. 578 cod. proc. pen. impone al giudice di appello che dichiari il reato estinto per prescrizione di decidere sui capi concernenti gli interessi civili; sull’altra questione si rileva come la liquidazione delle spese del grado sia del tutto adeguata rispetto alle tariffe professionali.
6. In conclusione, i ricorsi vanno rigettati e le ricorrenti condannate al pagamento delle spese processuali nonché, in solido, alla rifusione delle spese del grado sostenute dalle parti civili, liquidate in complessivi euro 4.500,00 oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a.
Rigetta i ricorsi e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché in solido alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili costituite nel presente grado, che liquida in complessivi euro 4.500,00 oltre spese generali al 15%, i.v.a. e c.p.a.
Il Presidente estensore Giorgio Fidelbo
DEPOSITATO IN CANCELLERIA il 30 maggio 2016
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