Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2016 nel numero 1153 di Internazionale.
Partiamo dall’ovvio. Nella storia dell’umanità tutte le donne hanno avuto le mestruazioni. Ogni mese lo strato superficiale dell’endometrio si sfalda e dall’utero un flusso di sangue scorre attraverso la vagina (a meno che la donna sia incinta, nel qual caso questo non succede per un lungo periodo). Questo processo è naturale come mangiare, bere o dormire, ed è anche bello. Accomuna tutte le etnie. Eppure la maggior parte di noi odia parlarne.
Quando una ragazza ha le prime mestruazioni intraprende un viaggio di silenzio e terrore che dura decenni. Le mestruazioni sono dolorose. Possono provocare mal di reni e crampi, per non parlare dell’instabilità emotiva, e questo succede tutti i mesi, per trenta o quarant’anni. In pubblico si discute di mestruazioni più o meno con la stessa frequenza con cui si parla di diarrea. Le donne vanno in bagno con l’assorbente infilato nella manica per non far capire a nessuno che è quel “periodo del mese”. A volte si macchiano i vestiti. Quando vengono colte impreparate s’imbottiscono gli slip di carta igienica. Nel frattempo la pubblicità sterilizza questo bagno di sangue con immagini di liquidi azzurri che sgocciolano dolcemente su morbidi e candidi assorbenti e di donne che sgambettano in jeans bianchi attillati.
In un articolo satirico del 1978 per Ms. Magazine, la femminista Gloria Steinem rispondeva alla domanda che tante donne si sono sempre poste: “Cosa succederebbe se improvvisamente, come per magia, fossero gli uomini ad avere le mestruazioni invece delle donne? La risposta è ovvia, l’arrivo del mestruo diventerebbe un evento invidiabile, gli uomini si vanterebbero della sua durata e potenza”, scriveva. Steinem immaginava un mondo in cui le men-struation (men in inglese vuol dire uomini) legittimavano il posto degli uomini praticamente ovunque: sui campi di battaglia, in politica, come leader religiosi e nelle facoltà di medicina. Avremmo i “tamponi Paul Newman”, gli “assorbenti Mohammad Ali”, e un nuovo modo di salutarsi:
“Ciao bello, come stai bene!”.
“Per forza caro, ho le mie cose!”.
A quasi quarant’anni di distanza, il saggio di Steinem colpisce ancora perché “l’uguaglianza mestruale” non si è mai realizzata. Negli Stati Uniti oggi su assorbenti e tamponi si paga un’imposta sul consumo in quasi tutti gli stati mentre sui pannoloni per adulti, il Viagra, le cure per la calvizie e le patatine no. Gli uomini possono entrare in qualsiasi bagno e trovare tutto quello di cui hanno bisogno: carta igienica, sapone, asciugamani di carta e perfino copritavoletta. Le donne invece no. Nella maggior parte delle scuole per chiedere un assorbente le ragazze devono andare in infermeria, come se le mestruazioni fossero una malattia invece che una cosa naturale. In quasi tutti i luoghi pubblici e privati, le donne sono fortunate se trovano una macchinetta scassata che in cambio di qualche moneta distribuisce un assorbente così scomodo che al suo posto preferirebbero usarne uno di ruvida carta igienica. E se non hanno monete? Le macchinette dei parcheggi accettano le carte di credito, ma ne avete mai viste di simili nei bagni delle donne? E la situazione delle detenute e delle senzatetto è ancora più drammatica. E anche se i tamponi si trovano, la Food and drug administration (Fda) statunitense non impone alle case produttrici di indicare di che materiale sono fatti, anche se in genere nell’arco della sua vita una donna ne ha uno inserito nella vagina per più di 100mila ore. I tamponi possono contenere “residui di erbicidi chimici”, dice Sharra Vostral, storica della Purdue university autrice di Under wraps. A history of menstrual hygiene technology. “E non sappiamo quali potrebbero essere le conseguenze per la salute delle donne, perché non viene fatto alcun test”.
Se tutto questo vi sembra ingiusto, provate a essere donne in un paese in via di sviluppo. I tabù, la povertà, i servizi igienici inadeguati, la scarsa educazione alla salute e la persistente cultura del silenzio creano una situazione in cui alle donne viene negato ciò che dovrebbe essere un diritto fondamentale: materiale sanitario pulito, economico e sicuro per le mestruazioni e spazi privati in cui prendersi cura di sé. Secondo un rapporto dell’Unicef e dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) uscito nel 2015, nel mondo almeno 500 milioni di donne non hanno i mezzi necessari per gestire le mestruazioni. Una ricerca condotta da Nielsen e Plan India rivela che nelle campagne indiane una ragazza su cinque lascia la scuola appena ha le mestruazioni, e dei 355 milioni di donne indiane in età fertile solo il 12 per cento usa assorbenti igienici. “Oggi ci si preoccupa solo di quello che può provocare la morte”, dice Venkatraman Chandra-Mouli, uno scienziato dell’Oms che da una ventina d’anni si occupa della salute degli adolescenti. “I problemi mestruali non uccidono, ma sono una questione molto importante perché influiscono su come le ragazze si vedono e sulla loro fiducia in se stesse, che è la chiave di tutto”.
Tempesta ormonale Anche se vengono chiamate con circa cinquemila espressioni gergali diverse (le mie cose, gli ospiti, il marchese), le mestruazioni sono uno dei temi legati ai diritti umani più ignorati del mondo. Eppure influiscono su tutto, dall’istruzione all’economia, dall’ambiente alla sanità pubblica. Finalmente, però, qualcosa comincia a cambiare. In quest’ultimo anno ci sono stati così tanti eventi dedicati alle mestruazioni che la National public radio (Npr) statunitense ha definito il 2015 “l’anno delle mestruazioni” e la rivista Cosmopolitan ha scritto che è stato “l’anno in cui le mestruazioni sono uscite allo scoperto”.
Non avremo mai la parità di genere se non parliamo del ciclo, ma il 2016 potrebbe essere l’anno del cambiamento. Dietro la spinta di attivisti, inventori, politici, fondatori di startup e persone comuni, è nato un movimento che mira a liberare le mestruazioni dallo stigma con l’aiuto delle politiche pubbliche. Per la prima volta gli statunitensi stanno parlando di parità di genere, femminismo e cambiamento sociale partendo da questo tema e, per usare le parole di Steinem, questa è “la prova che le donne stanno prendendo il loro posto in quanto metà del genere umano”.
◆ Nella maggior parte dei paesi del mondo l’imposta sul consumo degli assorbenti è quella ordinaria, tipica dei beni superflui, ma sta cominciando a diffondersi l’idea che gli assorbenti siano da considerare beni di prima necessità. Nel 2004 il Kenya è stato il primo paese ad abolire la cosiddetta Tampon tax.
Il 17 marzo 2016 l’Unione europea ha approvato una risoluzione che permette ai paesi membri di ridurre le imposte sui prodotti sanitari e di eliminare quella sugli assorbenti. InItalia nel gennaio del 2016 il deputato Giuseppe Civati ha presentato una proposta di legge per ridurre l’iva su assorbenti e tamponi dal 22 al 4 per cento.
Le mestruazioni non sono sempre state un tabù. Nelle antiche culture matrilineari erano un simbolo di onore e di potere, un periodo sacro in cui le donne potevano riposare e prendersi cura del loro corpo. Oggi nessuna donna va alle terme o prende le ferie dal lavoro per festeggiare le mestruazioni. Questa parte del ciclo è rimasta avvolta nella vergogna per secoli, ma quel silenzio fu brevemente interrotto nel 1970, quando il dottor Edgar Berman della Commissione per le priorità nazionali del Partito democratico, in risposta alla deputata hawaiana Patsy Mink che aveva implorato il suo partito di occuparsi di più dei problemi delle donne, suggerì che non potevano ricoprire cariche pubbliche a causa del loro “squilibrio ormonale”. Berman chiese ai colleghi di immaginare una “presidente in menopausa che deve prendere una decisione sulla baia dei Porci” o la presidente di una banca “che deve concedere prestiti durante una tempesta ormonale”. Mink mise in ridicolo il “disgustoso intervento” di Berman, lo costrinse a dimettersi e, per un breve periodo, si discusse di mestruazioni. Ma ormai sono passati 46 anni e niente è cambiato.
A gennaio Barack Obama è stato probabilmente il primo presidente statunitense a parlare di ciclo quando la star di YouTube Ingrid Nilsen, 27 anni, gli ha chiesto perché in quaranta stati gli assorbenti sono tassati come beni superflui. Obama è rimasto sorpreso. “Devo confessare che non ne ho idea”, ha detto. “Sospetto che sia perché quelle leggi le hanno fatte gli uomini”. Su internet il video di Nilsen è diventato virale. “Il presidente non sapeva nulla di un problema che influisce sulla vita quotidiana delle persone, semplicemente perché è una di quelle cose di cui non si parla”, dice Nielsen. “Questo riflette il modo in cui ancora oggi il governo e la società vedono il corpo delle donne”.
Nell’ultimo anno una serie di eventi nell’ambito della cultura pop ha dato impulso alla battaglia per l’uguaglianza mestruale, nota anche come femminismo del ciclo, parità dei bagni o semplicemente “vita”, come dice Steinem con una battuta. La musicista Kiran Gandhi ha corso la maratona di Londra del 2015 senza assorbente, attraversando la linea del traguardo con una grossa macchia rossa tra le gambe. Quando la pittrice Rupi Kaur ha postato su Instagram una sua foto a letto, vestita, con una macchia sui pantaloni e una sul lenzuolo, l’immagine è stata cancellata “per sbaglio”. Due volte. La coppia di comici Keegan-Michael Key e Jordan Peele ha istruito gli uomini sul ciclo: “E se vi dicessimo che una volta al mese metà degli esseri umani soffre? E che l’altra metà non vuole neanche sentirne parlare?”. Donald Trump dev’essersi perso questa scenetta visto che l’estate scorsa si è lamentato delle domande imbarazzanti di Megyn Kelly, la moderatrice del dibattito tra i candidati repubblicani, dicendo che aveva del “sangue che le usciva da qualche parte”.
Le campagne di sensibilizzazione di Twitter (#TheHomelessPeriod, #HappyToBleed, #FreeTheTampons), la petizione di Change.org per chiedere l’abrogazione dell’imposta sugli assorbenti, l’iniziativa di Arushi Dua, che ha chiesto a Mark Zuckerberg di inserire su Facebook il bottone “ho le mestruazioni” per contribuire alla lotta contro la stigmatizzazione in India: il mestruo sta vivendo il suo momento. Il movimento è ormai così diffuso che l’attrice statunitense Whoopi Goldberg sta lanciando una serie di prodotti farmaceutici a base di marijuana contro i dolori mestruali. Le donne statunitensi stanno usando le mestruazioni per protestare contro la rigida legge sull’aborto del governatore dell’Indiana Mike Pence, chiamandolo e inviandogli email e tweet con aggiornamenti quotidiani sul loro flusso. L’attrice Jennifer Lawrence ha raccontato alla rivista Harper’s Bazaar che per la cerimonia dei Golden Globe del 2016 ha scelto un vestito rosso di Dior “ampio sul davanti” perché la premiazione coincideva con la fine del suo ciclo e non voleva essere costretta a “tenere la pancia in dentro”.
Poca ricerca Secondo Euromonitor nel 2015 le donne statunitensi hanno speso 3,1 miliardi di dollari in assorbenti e tamponi, e il mercato globale del settore ha raggiunto i 30 miliardi. Tuttavia, da un secolo a questa parte sono state introdotte solo tre innovazioni significative in questo campo: gli assorbenti esterni usa e getta, inventati alla fine dell’ottocento e aggiornati con l’adesivo nel 1969; quelli interni, commercializzati negli anni trenta; e le coppette, che hanno cominciato a diffondersi negli anni ottanta. “Questo riflette il modo in cui viene visto il corpo delle donne”, dice Nilsen. “Com’è possibile che una cosa così importante non sia mai cambiata nell’arco di quaranta o cinquant’anni?”.
Prima degli assorbenti esterni o interni, quando avevano le mestruazioni le donne ripiegavano pezzi di stoffa e li appuntavano alle mutande. Negli Stati Uniti le cose hanno cominciato a cambiare negli anni venti, con l’arrivo degli assorbenti esterni Kotex, che però non migliorarono molto la situazione. “Si muovevano, si spostavano, irritavano la pelle, quasi la scorticavano”, spiega Sharra Vostral. “Erano enormi e ci voleva una cintura elastica per tenerli a posto. Metterli, poi, era un esercizio ginnico”. Nel 1931 un medico di Denver di nome Earle Cleveland Haas inventò i tamponi interni moderni con l’applicatore di cartone (fu anche l’inventore del diaframma). Durante la seconda guerra mondiale, quando le donne cominciarono a fare lavori fisicamente più impegnativi, la necessità di prodotti comodi e discreti aumentò. Tra il 1937 e il 1943 le vendite dei tamponi interni quintuplicarono, e nei primi anni quaranta il 25 per cento delle donne li usava già regolarmente.
I prodotti sanitari femminili entrarono gradualmente a far parte della cultura statunitense. Le donne cominciarono a usare gli assorbenti interni più di quelli esterni e le femministe li accolsero come liberatori. “Nessuna pensava ai possibili rischi per la salute, erano solo grate di avere un prodotto che funzionava letteralmente come un tappo”, dice Chris Bobel, presidente della Society for menstrual cycle research e professoressa associata di studi di genere all’università del Massachusetts a Boston. Solo negli ambienti artistici e d’avanguardia si sfidavano le convenzioni in questo campo: nel 1971 l’opera Red Flag della pittrice Judy Chicago era un primo piano sgranato di lei che si estraeva un tampone dalla vagina (molti pensarono che si trattasse di un pene insanguinato, confermando la sua tesi sul tabù delle mestruazioni).
Parliamo di sangue, ma non posso nominarlo perché mette tutti a disagio
Nel 1975 la Procter & Gamble cominciò a testare un tampone particolarmente assorbente a forma di bustina di tè chiamato Rely (lo slogan era “assorbe anche le preoccupazioni”). Era fatto di materiale sintetico e l’ingrediente base era la carbossimetilcellulosa (cmc), un composto che vantava un’assorbenza tale da permettere al tampone di durare, in teoria, per l’intera mestruazione. “Molte donne li adoravano”, dice Vostral. Ma altre trovavano i Rely dolorosi da rimuovere: “Assorbivano tanto fluido che quando li estraevi graffiavano la parete interna della vagina”. Un altro problema era che la seghettatura dell’applicatore di plastica a volte tagliava. Erano anche potenzialmente pericolosi: la cmc e il poliestere seccavano la vagina, creando il terreno di coltura ideale per un batterio tossico come lo stafilococco aureo.
Nel 1980 i Centers for disease control and prevention (centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, Cdc) statunitensi riportarono 890 casi di sindrome da shock tossico (Tss), il 91 per cento dei quali era collegato alle mestruazioni. Trentotto donne morirono. All’epoca circa il 70 per cento delle statunitensi usava assorbenti interni e, anche se coprivano solo un quarto del mercato, i Rely erano responsabili del 75 per cento dei casi di Tss. Si scatenò il panico. Erano coinvolte anche altre marche di assorbenti interni, come Playtex e Tampax, ma solo i Rely furono ritirati dal mercato nel 1980. Tutti i fabbricanti di assorbenti interni furono denunciati a causa degli shock tossici, ma alla Procter & Gamble furono intentate più di 1.100 cause. Nel 1982 la Food and drug administration (Fda) impose ai produttori di avvertire le consumatrici dei rischi che correvano. Nel giugno del 1983 ai Cdc risultavano 2.204 casi di Tss. Ma fu solo nel 1989 che la Fda impose di standardizzare l’assorbenza dei tamponi e di stampare gli avvertimenti sulle confezioni.
Negli anni ottanta e novanta i tamponi diventarono più sicuri e i casi di shock tossici diminuirono notevolmente, ma secondo i Cdc tra il 1987 e il 1996 ci furono ancora 636 casi di Tss legati alle mestruazioni, 36 dei quali mortali. Anche se la cmc non veniva più usata, nel 1995 un articolo pubblicato su Village Voice rivelò una nuova minaccia: in alcuni tamponi in commercio era stata riscontrata la presenza di diossina, un agente cancerogeno che “intossica il sistema immunitario” e può provocare malformazioni nel feto. Nell’articolo si rimproverava la Fda di non aver reso noto questo collegamento e di non aver sottoposto i tamponi a dei test.
Concedendo una piccola vittoria agli attivisti, l’industria del settore modificò i metodi di sbiancamento del prodotto per ridurre il rischio che rimanessero tracce di diossina, ma i problemi non finivano lì. Ancora oggi la Fda non impone alle aziende produttrici di rivelare i materiali degli assorbenti, e questo significa che sappiamo di più su dove vengono fabbricati i nostri indumenti che non su quello che le donne inseriscono nella loro vagina. Nell’arco della vita, mediamente una donna usa come minimo 12mila tamponi, dice Philip Tierno, docente di microbiologia alla facoltà di medicina dell’università di New York e uno dei primi a collegare lo shock tossico ai materiali sintetici usati nei tamponi. “La Fda dice che ci sono solo delle tracce di diossina, ma in decine di anni le tracce si accumulano”. La viscosa, che è fatta con la segatura, viene ancora usata negli assorbenti interni. E, per citare Tierno, “sembra che sia uno degli ingredienti meno pericolosi”.
“Non abbiamo dati affidabili sulla sicurezza delle cose che mettiamo nella parte più delicata del nostro corpo per vari giorni al mese nell’arco di quarant’anni”, dice Bobel. “È sintomatico del silenzio che avvolge le mestruazioni”.
Nel 1997 la deputata dello stato di New York Carolyn Maloney presentò il Tampon safety and research act (una proposta di legge che poi sarebbe diventata il Robin Danielson feminine product safety act, dal nome di una donna morta di shock tossico nel 1998) per chiedere agli istituti sanitari nazionali di condurre ricerche sui rischi per la salute associati ai prodotti igienici femminili, e invitare la Fda a rivelare la lista dei materiali contenuti negli assorbenti, nei tamponi e negli altri prodotti usati durante le mestruazioni. Da allora ha ripresentato la proposta otto volte, al momento è al vaglio della sottocommissione per l’energia e il commercio nella sanità. “È molto difficile far approvare una legge, soprattutto se riguarda la salute delle donne. La sicurezza dei tamponi non è certo il primo pensiero di molti membri del congresso”, dice Maloney attraverso un suo portavoce. “Ma credo che un giorno riuscirò a farla passare”.
Intanto alcune nuove aziende, come la Lola e la Conscious Period, offrono alle donne quello che non riescono ad avere da quelle tradizionali: la trasparenza. Gli assorbenti interni commerciali sono fatti di una combinazione di cotone, viscosa e fibre sintetiche, mentre quelli della Lola sono di cotone naturale al 100 per cento. “In mancanza di dati sicuri, preferiamo metterci dentro qualcosa di cui conosciamo la composizione”, dice Jordana Kier, che ha fondato la società con Alex Friedman. Da quando nel 2015 ha lanciato il suo prodotto, la Lola ha incassato 4,2 milioni di dollari e attirato decine di migliaia di clienti. Una scatola da 18 tamponi costa dieci dollari e si può scegliere tra diversi livelli di assorbenza.
La Conscious Period vende tamponi di cotone atossici, totalmente biologici, ipoallergici e biodegradabili. Quella del cotone è la coltivazione che fa uso della maggior quantità di pesticidi al mondo, ma la cofondatrice dell’azienda, Margo Lang, spiega che il cotone biologico contenuto nei suoi tamponi non contiene sostanze chimiche dannose né coloranti né prodotti sintetici. Una confezione da venti costa 8,50 dollari, e per ogni scatola venduta l’azienda ne regala una di assorbenti esterni a una senzatetto (non lo fa per risparmiare: le senzatetto dicono che per loro gli assorbenti esterni sono più facili da cambiare, possono essere tenuti più a lungo e sono meno pericolosi). “Non tutte le donne rischiano lo shock tossico, ma devono essere informate di questa possibilità. È sempre meglio il cotone al 100 per cento, senza fibre sintetiche”, dice Tierno. “Anche se non è biologico, è meno pericoloso, ma i produttori non lo usano perché dovrebbero modificare tutte le loro macchine”. Per chi preferisce gli esterni, l’azienda canadese Lunapads di Vancouver vende assorbenti e biancheria per il ciclo, la gravidanza e le piccole perdite urinarie, e una coppetta chiamata Diva cup.
Beni di lusso In tutti gli Stati Uniti ci sono alimenti, oggetti e generi di prima necessità che non sono soggetti a imposte: i cracker in California, l’olio di semi di girasole nell’Indiana, le perline in Louisiana, le bibbie nel Maine e le bare nel Mississippi. Ma in questi e in altri 35 stati sui prodotti igienici per le mestruazioni si paga un’imposta tra il 4 e il 10 per cento. “La tassa sui tamponi fa parte di un sistema economico in cui le lavanderie fanno pagare di più per una camicetta che per una camicia, e in cui si presuppone che gli uomini comprino prodotti di prima necessità e le donne articoli di lusso”, dice Steinem. Dei dieci stati che non hanno imposte sui tamponi, cinque non hanno nessuna imposta sulle vendite e cinque hanno introdotto un’esenzione specifica per i prodotti legati al ciclo. Quest’anno Chicago ha eliminato le imposte comunali su questi prodotti. Da poco, nello stato di New York, il senato e la camera hanno approvato all’unanimità una legge che elimina l’imposta sui tamponi. Nel New Jersey è stata da poco introdotta una norma che inserisce i dolori mestruali tra i disturbi per i quali è consentito l’uso della marijuana a scopo terapeutico. L’estate scorsa il Canada ha eliminato l’imposta sui prodotti igienici per le mestruazioni, e il Regno Unito e la Francia, tra gli altri, stanno studiando il modo per ridurre o eliminare del tutto l’imposta sugli assorbenti.
◆ Il ciclo mestruale è un processo fisiologico della donna in età feconda durante il quale l’endometrio, la mucosa che riveste la cavità interna dell’utero, si modifica. Dura in media 28 giorni ed è suddiviso in tre fasi: nella fase follicolare le ovaie cominciano a produrre follicoli, di cui uno maturerà liberando una cellula uovo. Questa fase, in cui l’endometrio si sviluppa per effetto degli estrogeni prodotti dal follicolo in maturazione, termina con l’ovulazione, la liberazione della cellula uovo nella tuba in seguito alla rottura del follicolo. A questo punto la cellula uovo può essere fecondata. In questa fase l’endometrio sviluppa una rete di vasi sanguigni che permettono l’annidamento della cellula uovo fecondata. Se la fecondazione non avviene, l’endometrio si sfalda e i vasi sanguigni si rompono. Nella fase mestruale del ciclo, i frammenti di endometrio e la cellula uovo non fecondata sono espulsi.
Jessica Valenti, columnist del Guardian e fondatrice della community online Feministing, ha lanciato una delle prime critiche serie a questa tassa in un suo articolo del 2014 intitolato “In difesa degli assorbenti gratuiti”, in cui sosteneva che “i prodotti per l’igiene femminile dovrebbero essere gratuiti per tutte”. I conservatori hanno replicato inorriditi: se gli diamo gli assorbenti, cosa vorranno dopo, auto e cibo gratis? Non volete che lo stato stia alla larga dal vostro utero? “Tutte scuse”, dice la consigliera del comune di New York Julissa Ferreras-Copeland, che ha presentato una proposta di legge per mettere a disposizione tamponi e assorbenti gratuiti nella scuole statali, nei rifugi per i senzatetto e nelle prigioni.
A gennaio due deputate della California, Cristina Garcia e Ling Ling Chang, hanno presentato una proposta di legge per esentare dalle imposte sul consumo i prodotti per l’igiene femminile. Se sarà approvata, le donne della California risparmieranno venti milioni di dollari, pari solo a un centesimo dell’1 per cento del bilancio dello stato, dice Garcia, che dopo essere stata presa in giro e chiamata “miss Flusso” è riuscita a trovare, tra gli uomini e le donne di entrambi i partiti, trenta firmatari della proposta. “Gli eletti della California sono per lo più democratici. Eppure quando ho presentato la proposta di legge, i miei colleghi progressisti mi hanno isolata”, dice. “Stiamo parlando di sangue, ma non posso neanche nominarlo perché mette tutti a disagio. L’unica cosa che ho potuto fare è stata ricordargli che non è un liquido azzurro. Ci sono voluti un bel po’ di lavoro e di pazienza”.
Quest’anno la deputata dello stato di New York Grace Meng ha convinto la Federal emergency management agency a permettere ai rifugi per i senzatetto di comprare i prodotti per l’igiene femminile con i fondi federali. Sta cercando anche di fare in modo che le donne possano comprare quei prodotti con i fondi accantonati per le cure mediche dai datori di lavoro. “Chi non pensa che la tassa sui tamponi sia un problema o non è una donna o non è mai stato povero”, dice Jennifer Weiss-Wolf, vicepresidente del Brennan center for justice della facoltà di giurisprudenza dell’università di New York, scrittrice e grande sostenitrice della parità mestruale. Weiss-Wolf è una delle organizzatrici della campagna per l’abolizione della tassa. Come ha scritto nel suo libro del 2015 Legal change. Lessons from America’s social movements, per un cambiamento vero e duraturo non bastano i video virali. “È necessario vincere nel tribunale dell’opinione pubblica e in un tribunale di giustizia”. Ma l’imposta sui tamponi è destinata a scomparire. Dall’inizio del 2016 14 stati l’hanno già abolita e altri 12 stanno cercando di farlo. “Sono 14 stati su 40, un terzo! Ed è successo in poco tempo”, dice Weiss-Wolf. “Non c’è nessun altro tema in questo paese che trovi sostegno da parte di entrambi i partiti in modo così aperto e coraggioso”.
La settimana della vergogna “Oggi porto le culottes”, dice Miki Agrawal alzandosi in piedi e tirando giù i pantaloni a quadretti aderenti per svelare un elegante paio di mutande nere. Siamo sedute nel suo piccolo ufficio all’interno del Center for social innovation di Manhattan. Alle pareti sono appese foto di pompelmi, e slip colorati pendono da una griglia sopra le nostre teste. Potrebbero essere l’ultimo modello di Calvin Klein, ma sono Thinx, gli slip high-tech a prova di mestruazioni che Agrawal ha inventato con la sua gemella Radha e la loro amica Antonia Saint Dunbar.
I Thinx assorbono il flusso e permettono alle donne di fare a meno degli assorbenti (tranne quando il flusso è abbondante). Agrawal spiega che i suoi slip brevettati sono antimicrobici, a perfetta tenuta e hanno l’assorbenza di due tamponi. Questo significa che le donne si sentono più asciutte, più a loro agio, usano meno tamponi e inquinano di meno. “Ogni anno finiscono nelle discariche venti milioni tra applicatori, tamponi e assorbenti”, dice. Esistono sei modelli di Thinx, che costano dai 24 ai 38 dollari. Sono lavabili, riutilizzabili e, secondo le molte giornaliste che li hanno usati, funzionano. L’azienda devolve una parte dei ricavi all’AfriPads ugandese, che insegna alle donne a fabbricare e vendere assorbenti riutilizzabili. Agrawal sta anche lanciando i Thinx global girls clubs, che distribuiranno prodotti igienici gratuiti e insegneranno educazione alla salute, autodifesa e imprenditorialità.
Nel 2004 il Kenya è stato il primo paese a eliminare le imposte sui prodotti per il ciclo
L’idea le è venuta nel 2010, parlando con una ragazzina sudafricana di dodici anni. “Le ho chiesto perché non era a scuola e quello che ha risposto mi ha completamente cambiato la vita”. Ha detto: “È la mia settimana della vergogna”, ricorda Agrawal. La ragazzina le ha spiegato che quando aveva le mestruazioni non andava a scuola. “Ho cercato di usare foglie e fango, sacchetti di plastica e stracci”, ha detto. “Ma non funzionava niente e alla fine ho smesso di andare a scuola”. Agrawal si appoggia allo schienale della sedia e infila la mano in un sacchetto di popcorn. “C’è un problema che riguarda le mestruazioni nel mondo sviluppato e un problema diverso in quello in via di sviluppo. Perché non se ne parla?”.
Biancheria di design La Thinx e altre startup simili, come la Dear Kate, stanno veramente cambiando i prodotti per l’igiene femminile per la prima volta in mezzo secolo, ma incontrano forti resistenze. Quando Agrawal ha proposto una campagna pubblicitaria alla società che gestisce la metropolitana di New York – manifesti con modelle pudicamente vestite in slip e canottiera e immagini di succosi pompelmi e rossi d’uovo – l’agenzia che doveva concedere l’autorizzazione, L’Outfront Media, ha definito le immagini “inopportune”. Alla fine la Thinx è riuscita ad arrivare sui muri delle metropolitane, ma Agrawal dice che la sua pubblicità è stata respinta dalla New York city taxi tv e da altri circuiti televisivi. “Non possiamo apparire nei programmi della mattina”, aggiunge. “Non vogliono che si dica la parola ‘mestruazioni’. È una follia!”.
La colombiana Diana Sierra sta combattendo la sua battaglia per il progresso mestruale disegnando biancheria che soddisfa direttamente i bisogni delle donne e delle ragazze dei paesi in via di sviluppo. Un paio d’anni fa, Sierra ha lasciato il suo posto di designer alla Panasonic quando, circondata da macchine per combattere la cellulite, si è resa conto che stava lavorando “per il 10 per cento della popolazione femminile che può permettersi queste cose. L’altro 90 per cento merita prodotti migliori ma non ha soldi, quindi al mercato non interessa”.
Nel 2014 ha lanciato Be Girl, una società di design che crea biancheria speciale per il periodo mestruale. L’idea le è venuta durante uno stage delle Nazioni Unite nelle zone rurali ugandesi, dove insegnava come trasformare le attività artigianali in imprese. “C’erano ragazzine di undici o dodici anni che venivano a bussare alla porta dicendo che volevano partecipare al laboratorio”. Quando le hanno spiegato che non erano a scuola perché avevano le mestruazioni, Sierra ha messo insieme qualche assorbente usando la stoffa di un ombrello e una zanzariera. “Vengo da un paese in via di sviluppo, dove la gente ha un grande spirito d’iniziativa”, dice. I suoi genitori erano contadini, ma grazie a una borsa di studio per i giovani “economicamente svantaggiati”, Sierra è andata all’università e ha ottenuto lo stage a New York. Lavora da dodici anni per multinazionali come la SmartDesign, la Nike e la LG.
Quando ha scoperto che in Uganda le ragazze usavano pezzi di stoffa per assorbire il sangue mestruale, Sierra ha creato un sacchetto di rete a tenuta stagna che può essere riempito di stoffa o altro materiale pulito. Dal 2015 Be Girl ha distribuito più di 15mila paia di slip riutilizzabili in Uganda, Ruanda, Tanzania, Malawi e altri dieci paesi. La biancheria di Be Girl è allegra e colorata come quella di Victoria’s Secret, e per ogni paio di slip venduto la società ne dona un altro a una ragazza povera. “Vogliamo essere la Nike dell’igiene intima. Il nostro scopo non è solo fornire a una ragazza assorbenti e slip, ma anche insegnarle a conoscere il suo corpo, a riappropriarsene per poter prendere decisioni informate”.
Sfogliando i risultati dei test pilota dei prodotti, Sierra ha trovato la scheda impolverata di una ragazza di Mbola, in Tanzania. In risposta alla domanda: “Cosa ti piace di più degli assorbenti?”, la ragazza aveva scritto che era “tanto felice perché sapeva che da qualche parte qualcuno le voleva bene, perché aveva fatto una cosa così bella da renderla fiera di essere una ragazza”. Da questo è nato il nome della società, Be Girl. “Una ragazza di un altro continente ha scritto che una cosa semplice come un assorbente le dà un senso di dignità e di orgoglio”, dice. “Adesso può correre, sentirsi sicura, pulita e a suo agio. È proprio questo che vuole un designer, la sicurezza che quello che sta facendo è importante per qualcuno”.
Una maledizione I tamponi in cotone naturale non dovrebbero essere un privilegio dei paesi industrializzati, ma lo sono, e la battaglia contro le imposte sugli assorbenti, anche se è degna di essere combattuta, non conta nulla se poi nel posto in cui vivi gli assorbenti non si trovano e nella tua cultura le mestruazioni sono ancora un tabù. In molti paesi il ciclo è una maledizione. Quando hanno le mestruazioni le donne non possono cucinare, toccare l’acqua potabile, o frequentare luoghi di culto e zone pubbliche. In molti paesi africani una ragazza su dieci ogni mese, quando ha le mestruazioni, perde giorni di scuola. In India il 70 per cento delle ragazze non ha mai sentito parlare di mestruazioni fino a quando non le arrivano, e in Africa Orientale quattro su cinque non hanno accesso agli assorbenti e all’educazione alla salute collegata al ciclo. Nelle campagne del Nepal, molte famiglie osservano ancora un’antica tradizione chiamata chaupadi: durante la fase mestruale relegano le donne in capanne isolate.
“La maggior parte delle ragazze scopre che esistono le mestruazioni il giorno in cui le arrivano”, dice Chandra-Mouli dell’Oms. E racconta una storia che ha sentito tante volte: “Mi sono venute le mestruazioni a scuola. Mi sono macchiata il vestito. Tutti ridacchiavano. Non sapevo cosa stesse succedendo. Sentivo le mutande bagnate. L’insegnante mi ha detto di aspettare in sala professori. Pensavo che dentro di me qualcosa stesse marcendo. È venuta mia madre e mi ha avvolta in un asciugamano, mi ha portata a casa, mi ha fatto il bagno e ha detto: ‘Adesso sei una donna. Non puoi più giocare con i ragazzi’”.
Questi problemi culturali non possono essere risolti da un paio di slip high-tech. “Sono stata in Uganda, in Kenya e in India per studiare le organizzazioni che se ne occupano”, dice Bobel della Society for menstrual cycle research. “Sanno benissimo che non esistono bacchette magiche, ma i donatori amano le soluzioni pratiche e applicabili su vasta scala. Nessuno è interessato a combattere la cultura della segretezza e della vergogna”.
Il prodotto è la soluzione che tutti preferiscono, ma la strada da percorrere è molto più difficile. “Bisogna pensare a soluzioni infrastrutturali sostenibili a basso costo”, dice Marni Sommer, docente di medicina sociale alla Mailman school of publich health della Columbia university, che studia l’approccio globale alle mestruazioni. “L’obiettivo è infrangere i tabù, far arrivare le informazioni alle ragazze e cambiare alcune infrastrutture per farne dei luoghi in cui non c’è pericolo di essere prese in giro, messe in imbarazzo o sentirsi sporche, già farebbe una grande differenza”.
In India c’è un uomo che sta studiando questo problema. Arunachalam Muruganantham è nato nel sud del paese da una famiglia di poveri tessitori. Nel 1998, poco dopo essersi sposato, ha scoperto che quando aveva le mestruazioni per proteggersi sua moglie usava stracci sporchi. Quando lei gli spiegò che non aveva abbastanza soldi per comprare sia gli assorbenti sia il latte per la famiglia, decise di fare qualcosa. Dopo sei anni di ricerche, costruì una macchina che fabbrica assorbenti igienici sterili. Oggi ha 2.500 macchine in India e qualche centinaio in altri 17 paesi. I suoi assorbenti costano tre centesimi di dollaro al pacchetto e le macchine 2.500 dollari l’una, prezzi molto al di sotto di quelli di mercato. Le sue macchine hanno permesso a molte donne di avviare una loro attività commerciale. Swadi Bedekar, una scienziata del Gujarat, nel 2010 ha comprato una delle macchine di Muruganantham dopo aver visitato alcune comunità che vivono nel deserto e aver visto le ragazze sedute sui sassi o su pentole piene di sabbia per raccogliere il sangue. Voleva aiutarle, ma le donne che usavano la sua macchina si lamentavano del fatto che il pedale alla lunga provocava il mal di schiena. Così ha modificato la macchina, semplificando il processo, cambiando la forma degli assorbenti e aggiungendoci le alette perché fossero più comodi. Oggi quaranta gruppi di donne usano la sua macchina modificata per fabbricare ogni mese 50mila assorbenti Sakhi. Con l’aiuto della sua Fondazione Varsalya, nel 2015 Bedekar ha fornito assorbenti igienici per un anno a seimila ragazze.
Mentre in India a fare innovazione sono le piccole imprese, in Kenya la ZanaAfrica foundation fornisce ogni anno non solo assorbenti igienici ma anche educazione alla salute sessuale a diecimila ragazze in tutto il paese. Nel 2004 il Kenya è stato il primo paese al mondo a eliminare le imposte sui prodotti legati al ciclo, ma c’è ancora molto da fare. “Un milione di adolescenti perde fino a sei settimane di scuola all’anno a causa delle mestruazioni”, dice Gina Reiss-Wilchins, l’amministratrice delegata della fondazione. “Al momento della pubertà, il numero di ragazze che lasciano la scuola è il doppio di quello dei ragazzi. Se ogni ragazza del Kenya finisse le superiori, nel corso della sua vita il pil del paese aumenterebbe del 46 per cento. Ci sono già tanti problemi: la povertà, gli abusi, le spose bambine, le gravidanze. Le mestruazioni non dovrebbero essere un altro ostacolo”, dice Reiss-Wilchins. “Stiamo facendo una piccola rivoluzione silenziosa”.
Questo articolo è stato pubblicato il 13 maggio 2016 nel numero 1153 di Internazionale. Era uscito su Newsweek con il titolo The fight to end period shaming is going mainstream.
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