Siamo più stupidi dei dinosauri? - Linkiesta.it

2023-03-16 17:11:10 By : Mr. Kevin Parts

Guardando tra le pieghe di un futuro compromesso dagli effetti dell’attuale crisi climatica, un padre s’interroga sul destino che attende il figlio. Dove potrà abitare, che cosa mangerà, quali mete potrà raggiungere per godersi un po’ di meritato riposo? Potrà decidere, con consapevolezza e serenità, di diventare genitore? Sono alcuni dei dilemmi in fibrillazione nella mente di Daniele Scaglione, che oltre ad essere un papà e fisico torinese, lavora come formatore e consulente nel mondo aziendale e collabora con Radio 3, nel programma Wikiradio.

« Immagino che la risposta sia: “Dipende”, ma dipende da cosa? Dai modelli di previsione che usano gli scienziati? Da quello che faranno i governi? Da quanta gente ci sarà al mondo? Dagli incendi nei boschi? Dal fatto che con Cosimo abbiamo sempre usato pannolini usa e getta anziché quelli lavabili?», scrive Scaglione nella sua ultima fatica letteraria “Più idioti dei dinosauri” (Edizioni e/o).

Di spunti per porsi domande sulle conseguenze del cambiamento climatico, la realtà, anche quella più semplice e quotidiana, ne offre diversi, a partire dalla lotta intestina che ha impegnato Scaglione contro moleste zanzare in un novembre più caldo del solito. A Greenkiesta, l’autore ha voluto portare un contributo personale e sentito per comunicare un problema sempre più attuale.

Essere consapevoli che siamo più idioti dei dinosauri – in quanto artifici del nostro stesso “meteorite” – può essere un buon punto di partenza per garantirci un futuro meno cupo? Credo di sì, anche per capire come ci siamo arrivati a questa situazione. Siamo in grado di autodistruggerci non solo sconvolgendo il clima che permette la nostra esistenza ma, in modo ancor più efficiente ed efficace, anche con le bombe nucleari. Eppure, Edward Teller – il padre delle bombe H – affermava di aver costruito quegli ordigni per difendere la pace nel mondo. La cosa per me sconvolgente è che Teller fosse convinto di ciò, non lo diceva come slogan. Ci sono delle contraddizioni cruciali nei nostri sforzi verso il progresso, inteso come il voler stare meglio. Dovremmo riuscire a capirle, ma almeno cominciamo a guardarle in faccia. 

Perché è importante farsi domande, documentarsi e pensare a strategie utili a mitigare gli effetti del climate change? Come qualsiasi genitore penso al futuro di mio figlio. So che il caos climatico influenzerà la sua vita ma vorrei capire meglio cosa questo significhi. Così mi faccio domande, a partire dalle questioni più vicine all’esperienza quotidiana che, per nostra fortuna, al momento non è quella di chi patisce la siccità o ha perso la casa per un’alluvione o un uragano. Mi chiedo dove mio figlio potrà andare in vacanza, in quali città potrà studiare, che lavoro potrà fare. Certo, mi chiedo anche se, nel corso della sua vita, faticherà a trovare acqua o cibo, per via dell’emergenza climatica. Risposte nette non è che le abbia trovate: è vero, ci sono tanti studi su tante conseguenze del riscaldamento globale, ma la partita è tutta da giocare. Le condizioni di vita delle persone – incluse quelle di mio figlio – dipendono da come ci comportiamo noi esseri umani, tanto nel tagliare le emissioni di gas serra quanto nell’affrontare le difficoltà che non si riusciranno a evitare.

Quali insegnamenti fornisci e fornirai a tuo figlio, Cosimo, per vivere nel mondo che verrà? Da un lato penso che la mia generazione sia quella che ha fatto il danno maggiore, ancor più di quelle precedenti. Perché noi avevamo tutte le possibilità di capire bene quello che stavamo combinando al clima, contrariamente a chi, invece, era adulto negli anni Settanta od Ottanta, cioè quando ero ragazzo io. Ma non abbiamo neanche iniziato a risolvere il problema. Con che credibilità, allora, posso insegnare a mio figlio come affrontare il mondo colpito dal cambiamento climatico? D’altra parte, sono suo padre, il mio ruolo è quello di aiutarlo a crescere. Non è che posso chiedergli scusa, abdicare per manifesta idiozia e finita lì. 

Forse, le cose più utili che posso provare a insegnargli sono due. Primo, tenere sempre la mente il più possibile aperta, molto più di quel che riesco a fare io. Dovrà affrontare cambiamenti rapidi, più o meno drastici: dovrà essere elastico, capace di rimettere in discussione le cose, dovrà sperimentare, senza paura di farlo. Secondo, vorrei che si convincesse della forza della cooperazione. Non si tratta di ‘essere buoni’ – che è un valore, sia chiaro – si tratta invece di capire che un problema come la crisi climatica lo si affronta insieme, sennò ci si rimette tutti (salvo rientrare in quella piccola percentuale di persone che nelle crisi trovano comunque il modo di guadagnare, come mi pare sia successo anche durante la pandemia). 

Consideri importante coinvolgere le nuove generazioni nei processi decisionali? È la prima cosa da fare. Su Internazionale del 17 dicembre 2021 è stato ripreso un articolo a firma di David Runciman, scienziato politico dell’università di Cambridge. «L’età del voto andrebbe abbassata a sei anni», scrive Runciman, che argomenta in modo secondo me convincente, spiegando come il divario generazionale sia un problema diventato enorme, nelle democrazie. In ogni caso, non ha senso escludere le adolescenti e gli adolescenti da decisioni con molte più conseguenze per loro che per le persone che quelle decisioni le prendono (e aggiungo che può capitare che i ventenni o meno ne sappiano di più degli adulti, ad esempio su quali sarebbero le decisioni migliori da prendere). 

Siamo e saremo in grado di adattarci agli effetti della crisi climatica? Penso e spero di sì. Però dobbiamo decidere come farlo. Se ci si dividerà tra privilegiati che ce la fanno e dannati senza speranza, non sarà un adattamento stabile, ci saranno tensioni e conflitti continui. 

A quali scelte dobbiamo dare priorità? Riprogettare le città, il nostro modo di lavorare, oppure la nostra dieta? Credo ci voglia un piano fatto bene in cui si mette mano a tutto, dalla produzione di energia all’alimentazione, passando per i trasporti e l’organizzazione delle città. Al di là delle soluzioni tecniche, indispensabili, credo si debba spingere il più possibile sulla cooperazione, ma con una logica molto pragmatica: bisogna costruire accordo sulle cose da fare, concretamente, riducendo al minimo i dibattiti su questioni astratte. E il metro di paragone per misurare se i nostri sforzi vanno nella giusta direzione sono i diritti umani, a partire da quelli delle persone più colpite, già oggi, dalla crisi climatica. Dunque, sì, azzardo una risposta sul tema della priorità: sostituire le auto a combustione con auto elettriche credo sia importante e vada fatto in fretta. Ma se ci occupiamo del nostro diritto a muoverci come e quando vogliamo con le nostre auto private prima del diritto di altre persone di non patire la fame per via del caos climatico, forse sbagliamo qualcosa.

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