Roma - Un’agonia lunga 27 ore, in 47 su un gommone alla deriva, su e giù su onde di due metri e mezzo, mare forza 6 e una tempesta di scirocco, la salvezza che sembra in vista. Con quell’aereo che li sorvola dall’alto e quel grande mercantile che si avvicina ma resta lì a guardare. Un giorno e una notte, le urla, il terrore, la nuova chiamata di disperata richiesta di aiuto. E finalmente una delle quattro navi che circondano il gommone che, alle prime luci dell’alba, si decide a tentare il trasbordo. Poi la fine, il gommone che si ribalta, uomini, donne, forse anche bambini che cadono in acqua e tentano disperatamente di aggrapparsi gli uni agli altri. In 30 vengono risucchiati nella tomba del Mediterraneo. Solo 17 vengono tirati su. E ora sono attesi Pozzallo dove li porta il mercantile Froland.
Un’altra domenica di tragedia a sole due settimane da Cutro con l’Italia ancora sotto accusa. «Le autorità italiane hanno ritardato deliberatamente i soccorsi, lasciandole morire», la pesantissima denuncia di Alarm phone che dalle 2.30 di sabato mattina sollecitava l’intervento di Roma. Ma il comando generale delle Capitanerie di porto, che seppur tardivamente aveva assunto il coordinamento delle operazioni scegliendo comunque di rivolgersi alla Libia per far riportare indietro i migranti, stavolta non ci sta e accusa Malta e Tripoli: «L’intervento di soccorso è avvenuto al di fuori dell’area di responsabilità Sar italiana registrando l’inattività degli altri Centri nazionali di coordinamento e soccorso marittimo interessati per area».
Non c’è più nessuna Ong nel Mediterraneo centrale, il decreto Piantedosi al momento le ha fatte fuori tutte. E non ci sono neanche le temute motovedette libiche che, seppure chiamate a più riprese, non sono mai arrivate ignorando la richiesta partita da Alarm phone prima, da Sea Watch dopo, ma anche dalla sala operativa del comando generale delle Capitanerie di porto a Roma: «Non abbiamo mezzi», la sconcertante risposta di una Guardia costiera che l’Italia sovvenziona da anni. Nella notte Roma, come prevedono le convenzioni internazionali, apre un evento Sar ma, essendo il gommone in zona Sar libica, si limita a chiedere ai mercantili di passaggio di monitorare la situazione in attesa che — prima o poi — i libici arrivino. Una scelta che già sabato pomeriggio aveva fatto temere alle Ong un imminente respingimento del gommone, ma che all’alba di ieri si è tramutata in tragedia, riproponendo la totale inadeguatezza del sistema dei soccorsi in mare. «Una vergogna per l’Italia e per l’Europa, non possiamo più vedere il Mediterraneo ridotto a un grande cimitero a cielo aperto», accusa Elly Schlein mentre Riccardo Magi di +Europa ipotizza una denuncia per le autorità italiane. Per il governo parla il ministro degli Esteri Antonio Tajani: « Disastri e morti non vanno strumentalizzati».
Still no rescue? We have lost contact to the 47 people over 2h ago & we are very worried! The so-called Libyan coastguard told us that Italian authorities would coordinate the rescue but they aren't giving any info. The people need to be rescued & brought to safety in Europe now!
Ma ecco la ricostruzione delle 27 ore passate dall’Sos alla tragedia. Sono le 2.28 di sabato mattina quando Alarm phone riceve la richiesta di aiuto: i migranti dicono di essere alla deriva, il motore fermo, il mare in tempesta, la posizione 110 miglia a nordovest di Bengasi, zona Sar libica. Alarm phone chiama tutte le autorità competenti, da Tripoli a Malta a Roma. Per diverse ore non succede nulla, a tranquillizzare i migranti arriva l’aereo Sea bird della Ong Sea Watch che denuncia: «A Roma la sala operativa della Guardia costiera butta giù il telefono». Il mercantile Basilis è il primo a rispondere alla chiamata ma non è in grado di recuperare i migranti. Le indicazioni che riceve da Imrcc sono chiare: rimanere a monitorare in attesa delle motovedette libiche. Che non arrivano. Passa la notte e i 47 migranti terrorizzati vedono arrivare le luci di altre tre navi. Chiamano di nuovo Alarm phone: «Siamo esausti, non ce la facciamo più, perché non ci prende nessuno»?. All’alba, fa sapere la Guardia costiera, mentre la nave Frolen tenta il trasbordo, il gommone si rovescia. A riemergere saranno solo in 17: trenta i dispersi. Resta l’interrogativo: se invece di aspettare le motovedette libiche e pensare di rimandare indietro quei 47 Roma avesse fatto partire mezzi militari italiani, magari le navi che in zona partecipano alle operazioni Eunavformed e Irini? ©RIPRODUZIONE RISERVATA