"Viva gli alpini" è una frase che pensavo non avrei mai più pronunciato. A Rimini, durante la loro festa nazionale, mi ero scottato. Oggi invece sono qui a scriverlo, e non è una burla: "Viva gli alpini!"
È una soddisfazione piena, la mia. Non personale – i destini personali interessano al massimo una o due persone e non sono questioni da scriverci un pezzo – ma perché le denunce raccolte delle ragazze, ma anche la merda che ci era piovuta addosso come giornale per aver dato voce a quei racconti, ha finalmente avuto un senso: gli alpini hanno annunciato un cambiamento e – leggendo il loro sito e la loro campagna – si stanno davvero impegnando.
Ricordiamolo: questo cambiamento è avvenuto grazie a chi ha raccontato quelle molestie fin dal primo momento; chi le negava ha semplicemente ritardato il processo, ostacolandolo.
Finalmente oggi anche l'Associazione Nazionale Alpini si è accorta che durante i loro ritrovi nazionali sono tante, troppe, le persone che ne approfittano per molestare donne e ragazze. E ora l'Associazione sta dicendo ad alta voce quello che noi abbiamo raccontato dall'inizio; di più: hanno chiesto prima di tutto agli alpini e ai suoi simpatizzanti di prendere una posizione chiara e netta di fronte a questi fatti. Quando vi assistono, di denunciarli. Quando possono, di fermarne lo svolgimento. Soprattutto, di smetterla quando sono loro a provocarli.
Finalmente l'Ana non nega più e lo dice chiaramente: "Vogliamo essere parte della soluzione, non del problema". Significa, in buona sostanza, che fino a oggi non era così. Tutte le preoccupazioni del nostro lavoro come giornalisti, e come esseri umani, oggi hanno avuto una risposta grazie alla presa di posizione finalmente chiara da parte dell'Ana, l'Associazione Nazionale Alpini. Una presa di posizione ferma, quella che semplicemente chiedevamo dall'inizio, durante i loro giorni di festa nazionale e le prime denunce, e poi nei giorni successivi, e che ancora abbiamo continuato a chiedere nei mesi dopo. Ci è voluto un po' ma il risultato oggi è importante, e come si dice in termini calcistici "è di quelli che fanno ben sperare nel futuro".
Rimane il dolore per mesi di attesa, querele, il dolore per le accuse rivolteci di "infangare il nome degli Alpini", ma non è questo il momento delle recriminazioni, prendiamo il buono da questa lunga vicenda: mai nella storia del corpo nazionale degli Alpini si era parlato in questo modo, con questa determinazione – e con queste parole – di molestie. Mai l'Associazione Nazionale Alpini aveva realizzato un sito internet per dirlo con tale chiarezza, cito testualmente: "Le molestie verbali non sono “complimenti non graditi”. Non sono atti di goliardia. Sono gesti malsani". E ancora: "Apprezzamenti di natura sessuale rivolti in modo esplicito, volgare e talvolta minaccioso, a una donna incontrata per strada o in un luogo pubblico non sono più tollerabili". L'Ana ha anche lanciato un hastag – #controlemolestie – a fronte di un impegno preciso: "Serve un cambiamento culturale profondo e importante, che possiamo e dobbiamo portare avanti". Per questo, oggi, vale la pena dire: "Viva gli alpini!"
Dopo aver taciuto e poi minimizzato per mesi (affermando fra le altre: "soltanto qualche atto di maleducazione") oggi hanno preso coscienza e chiamano le molestie con il loro nome, riconoscendone la natura violenta e predatoria.
Sono stati coraggiosi, gli alpini. E ancora di più lo sono state quelle donne e quelle ragazze che dall'inizio hanno raccontato, denunciato, che si sono fatte avanti nel silenzio generale e quasi sempre scontrandosi con la delegittimazione, le prese in giro e l'isolamento. E' grazie soprattutto a loro, alle donne e alle ragazze, che oggi qualcosa sta cambiando, ed è giusto riconoscerlo.
Potevano capirlo prima gli alpini? Sì. Avrebbero potuto evitare mesi di polemiche? Sì. Ma il fatto che ci siano comunque arrivati – secondo me – va sottolineato e premiato. Bisogna tirare fuori il giusto, sottolineare il bello, dare spazio alla possibilità di cambiare, e la direzione (almeno nella scelta delle parole), sembra avviata.
Ma cosa era accaduto in quei giorni di maggio a Rimini? Facciamo un passo indietro: ero andato alla festa nazionale degli Alpini per raccontarne la storia e le imprese, ma una volta lì ero stato travolto dai racconti e dalle denunce di donne e ragazze, anche minorenni, riguardanti le molestie subite, le mani sotto le gonne, mutande tirate, palpate sul sedere, battutacce grevi e cori sessisti durante ogni serata, al chiuso e all'aperto. Dal racconto video di quei giorni nacquero numerose discussioni, talvolta anche violente. Fui accusato, e così Fanpage.it – il giornale per cui lavoro – di aver "infangato il buon nome degli alpini". Non era vero, ovviamente. Avevamo soltanto fatto il nostro mestiere: avevamo raccontato, permettendo alle parole di uscire e alle immagini di parlare. Avevamo dato voce.
Avevamo dato una prospettiva diversa all'idea che quando beve un molestatore viene giustificato perché “lo ha fatto perché ha bevuto”, e quando invece beve una vittima si dice “se l’è cercata”. Avevamo creduto nell'oscenità di questo ragionamento prima degli altri.
Avevamo detto chiaramente che catcalling e molestie – fisiche e verbali – sono un reato, non sono né goliardia né scherzo. E non esistono luoghi o feste dove possano essere tollerate o ritenute normali, neanche alla Festa degli alpini. Ora, finalmente, lo dicono anche gli alpini.